domenica 4 gennaio 2009

giovedì 1 gennaio 2009

GLI ULTIMI GIORNI NELL'IMPERO

Ultima giornata, ultimi acquisti. Io e Giovanni ci separiamo. Ognuno si ritiene libero di sputtanarsi gli ultimi spiccioli di yen come vuole senza dover rendere conto a nessuno. Giovanni dà fondo alle sue finanze comprando Cd. Io calzini colorati con cinque dita. La cultura innanzitutto. Lui dice che tornerebbe volentieri a Tokyo. Sente di essere di fronte a una città dai mille volti che richiede molto tempo per essere conosciuta bene. Io no. Il viaggio mi è piaciuto ma non lo rifarei tale e quale. Mi piacerebbe al massimo andare a scoprire la parte meno urbanizzata. Vedere la campagna. Dovrà pur esserci la campagna da qualche parte in Giappone. Tentiamo comunque di fare un elenco delle cose che ci hanno colpito di più. Vince il Capsule Inn Hotel. Poi il senso dei giapponesi del loro ruolo. Chiamiamolo anche, magari, nazionalismo, desiderio di successo, senso di responsabilità, gusto del lavoro. E’ bello, in ogni caso, vedere la gente che si applica al lavoro, se non proprio con allegria, con convinzione. Abbiamo frequentato molto, per ovvi motivi, i ferrovieri, e li abbiamo scoperti orgogliosi di fare un lavoro importante per la società. E gentilissimi. E disponibilissimi.
Ci ha colpito molto, fra tutti i templi, quello d’oro, a Kyoto. Non siamo però andati a vederli tutti. Erano tantissimi e in fondo abbiamo pensato che fosse come tentare di vedere tutte le chiese di Roma.
Ci ha anche molto impressionato la sensazione di trovarci davanti a una società molti anni avanti rispetto alla nostra. E non è stata una sensazione solo positiva. La grande metropoli giapponese è l’impero del consumismo dove trionfa il rumore studiato apposta per fare spendere, spendere, spendere.
Siamo rimasti molto colpiti anche dall’immagine di una vecchietta che dormiva sullo spartitraffico di una grande via di Osaka, con tutta la sua roba accanto e con una mezza dozzina di gatti che le dormivano sopra. Tutti quanti incuranti delle macchine che sfrecciavano nei due sensi.
Che cosa non abbiamo visto? Abbiamo resistito fino alla fine al Pachinko. Siamo entrati parecchie volte in queste enormi sale piene di centinaia di macchine mangia biglie di acciaio. Ma siamo sempre usciti senza aver giocato. Non perché siamo dei virtuosi, ma sostanzialmente perché non riuscivamo a capire come funzionasse la questione.
Non siamo andati al teatro Kabuki. Non avremmo retto alle 4-5 ore di spettacolo e al salasso di 200 euro. Non siamo andati a vedere i culoni del Sumo, né siamo entrati nelle sale del karaoke né in quelle dove si esibivano le ultime geishe. Abbiamo sempre privilegiato il dialogo, si fa per dire, con la gente. Non si è fatto un gran parlare ma con i gesti qualche cosa ci siamo detti. Abbiamo imparato a contare, per esempio, da uno a dieci. Ici, ni, san, shi, go, roccu, shici, aci, kiù, ghiù. Abbiamo imparato i colori, kurò, kyrò, airò, schirò, aka, finoal mio preferito, l’arancione, che si dice dai-dai. Negli ultimi giorni abbiamo attaccato a parlare con un giovane manager che stava aspettando sullo stesso nostro marciapiede il treno per Tokyo. Ma noi aspettavamo lo Shinkansén. Lui aspettava il Nozomi, quello che va più forte di tutti. E che costa una tombola. Lo abbiamo stimolato sulla sua passione per il bel canto e alla fine lo abbiamo convinto a cantare l’inno nazionale giapponese. Difficoltà di connessione da Salina ne rendono impossibile la visione a voi. Appena sarà possibile potrete anche voi godere della sua notevole perfomance.

domenica 28 dicembre 2008

RIECCOCI TOKYO

FUJIAMA

Sul Monte Fuji sappiamo tutto, e cioe' che non bisogna dire Monte Fujiama, che sarebbe come dire: il monte monte Fuji. E poi sappiamo che quando si prenota lo Schinkansen bisogna chiedere il posto "vista Fuji". Noi all'andata l'abbiamo chiesto e ci hanno detto, incrociando gli avambracci, "sold out". Stessa cosa al ritorno, ma non ci siamo fatti sorprendere, e appena e' comparso il Fujiama, siamo schizzati nel locale fra i due vagoni con ampio finestrino. Spielberg si e' sparato 2 Gb di effetti speciali. Io, piu' modestamente, questa piccola clip.

STO PROPRIO COMODO

GUARDA COME ROTOLO

SONO IL CAMPIONE DELLE BACCHETTE

28 dicembre: LA SVIZZERA SORRIDE

Piu' che la meditazione a me i mantra stimolano l'ipnosi. Cantati (o recitati?) dai monaci, durano un'oretta. In una grande sala fredda ma piena di oggetti, di lampade, di libri, di candele, noi "laici" assistiamo ma a un certo punto veniamo anche invitati a compiere azioni che non capiamo ma di buon grado ci prestiamo. Perche' per esempio ci viene chiesto di mettere una tazzina di te' sopra una specie di scaldino a forma di portauovo, ma poi questo te' non ce lo lasciano bere? Perche' ci viene chiesto di prendere a scelta, da uno a tre pizzichi di non si sa che cosa, da un contenitore e metterlo in un altro? Un monaco, il piu' fortunato, si occupa di accendere e alimentare il fuoco rituale, buttandoci dentro incensi. Gli altri cantano. Noi, sempre piu' surgelati, ascoltiamo. Alla fine ci aspetta una colazione. Che cosa mangiamo non si sa. Sembrano erbe di ogni tipo. Ma e' roba buona. Non ha comunque la consistenza, ne' l'aspetto, del cappuccino e della brioche. Lasciamo Koya-San alle 8.30. AI monaci lasciamo 20.000 yen, quattro volte tanto quello che abbiamo pagato alla Guest House di Beppu, dove c'era tanto caldo e poco mantra. Prima di partire ci avvicina una fanciulla svizzera. Ha l'aria della signora bene milanese, un po' new age, e tanto alla ricerca di spiritualita' e di nuove profondita' dell'essere. Cioe', una di quelle che a Ginostra camminano scalze con lo sguardo perso all'orizzonte senza toccare con i piedi per terra, e con l'eterno sorriso sulle labbra. Dice la svizzera: "posso chiedervi perche' siete venuti qui?". Giovanni, il maledetto, tace. Rispondo io: "Non lo so". La svizzera continua a sorridere: "io sto facendo una ricerca sulle connessione tra cervello, meditazione e buddismo esoterico." Il nostro sguardo tende all'imbecille. Lei continua a sorridere: "Di solito le persone che vengono qui sono alla ricerca di qualcosa di piu' alto, e' il vostro caso?". Giovanni il codardo tace. Io dico: "No". La svizzera sorride sempre. Ma un po' di meno.

UN MENU ESOTERICO

GIOVANNI FA IL GIAPPONESE

ARAGOSTE DI MONTAGNA

Completamente surgelati, nonostante la cena che ci ha riscaldato, facciamo il nostro relax nella sala del bagno caldo. Fuori c'e' la neve. Dentro, due pirla beati. Rimaniamo a cuocere nell'acqua bollente per mezz'ora. Rossi come aragoste, ritorniamo attraverso freddi corridoi, nella nostra stanza riscaldata. Ci addormentiamo come sassi. Domattina ci aspetta la cerimonia dei monaci. Alle sei. Mettiamo la sveglia alle cinque e mezza.

E' IL MESE MIGLIORE PER VISITARE IL GIAPPONE

QUI GIACE PANASONIC?

LA CUCINA DEI MONACI

Vegetariana. Niente carne e niente pesce. Ma anche, chissa' perche', niente cipolla e niente aglio. Veniamo serviti nella tatami-room, con un vassoio a tre piani che, scomposti, diventano il tavolino. Zuppa, tofu, riso, fagioli, verdure varie. Dicendolo alla loro maniera, koyadofu, gomadofu, konnyaku, suona meglio e sembra anche piu' buono. Il problema e' la posizione. Tutte le volte che mangio all'orientale comincio con tanta buona volonta' sedendomi come si deve, con le gambe sotto il sedere. Poi, quando comincio a soffrire, incrocio le gambe alla maniera yoga. Ma, quando il mio corpo sta diventando tutto un formicolio, rotolo nella mia posizione preferita, il triclinio. Se per caso un monaco entra, io mi ricompongo e assumo la posizione corretta. Per qualche minuto. Appena il monaco esce, ripiombo nel triclinio. Lo so. Sono ipocrita. Non ho il coraggio delle mie azioni e dei miei limiti, ma non voglio deludere gli eredi di Kukai.

QUI VIVE KUKAI DA QUALCHE SECOLO

ANDIAMO AL CIMITERO

UN RITO MISTERIOSO

Cosa sta facendo questo giovane aspirante monaco buddista? Uno strano rito del buddismo esoterico prevede di bendarsi gli occhi per aumentare la concentrazione ed aiutare il raggiungimento del Nirvana? Qualcuno sospetta in realta' che Giovanni, avendo perso la mascherina, usi la cintura dello Yukata per aiutare il sonno. La verita' non si sapra' mai.

FUNICOLI' FUNICOLA'

ANDIAMO A TROVARE I MONACI BUDDISTI ESOTERICI

UNA NOTTE DA BUDDISTA

Da Osaka partiamo diretti a Koya-San, una piccola cittadina sulle montagne a 1000 metri di altezza sul livello del mare. Koya-San e' la piu' importante concentrazione di cimiteri buddisti di tutto il Giappone, e probabilmente di tutto il mondo. E' la sede centrale della scuola del buddismo esoterico chiamato Shingon, che ha in tutto il mondo circa 10 milioni di fedeli. Una volta qui c'erano 1500 monasteri. Adesso ce ne sono solo 120, con 7000 monaci, e molti di questi ospitano turisti e pellegrini. Una cittadina enorme fatta di monasteri e abitata da monaci. Immaginate: come se a Vetralla ci fosse un tempio al posto della chiesa, e fin qui tutto normale, ma anche un altro tempio al posto della farmacia, e uno al posto del cinema, e un altro al posto della banca, e via cosi'. Arriviamo a Koya-San in treno e in funicolare e in autobus. Sono le 13 quando ci presentiamo all'ingresso del monastero dove abbiamo prenotato, il Muryoko-In. Il monaco portinaio ci dice: "Il check-in e' alle 15". Mica male un monastero con il check-in. Non ci resta che fare marcia indietro e sotto una bella nevicata passeggiare per il paese alla ricerca di un luogo accogliente. Troviamo un ristorante dove becchiamo un clamoroso caso di sfruttamento di lavoro minorile. La cameriera si presenta con il bambino abbarbicato sulle spalle. E' piccolissimo, ma qualche cosa dice, e sembra quasi che prenda le ordinazioni. A noi viene servita una tazza di brodo, che viste le condizioni atmosferiche, ci appare un toccasana. Alle 15 ci presentiamo puntuali al tempio e stavolta veniamo accolti con maggiore cordialita'. Comincia cosi' questa immersione totale nella cultura e nelle tradizioni orientali. Veniamo introdotti in una stanza molto grande, tutta tatami, con un tavolo al centro. Il tavolo sembra una specie di altare. E' appoggiato su una grande trapunta. Un'altra trapunta parte dal ripiano formando una specie di tenda. Sulle prime non capiamo la logica, ma il monaco-cameriere ce la spiega. Nell'interstizio tra la prima e la seconda trapunta c'e' uno scaldino. Come tutto questo non sfoci in un incendio, e' uno dei misteri del buddismo esoterico. Ma il risultato e' che infilandosi tra una trapunta e l'altra ci salviamo dall'ibernazione, perche' fa un freddo bestia. Noi decidiamo di andare subito al cimitero di Oko-no-in, un grande luogo sacro, dove c'e' la tomba di Kobo Daishi Kukai, l'illuminato monaco buddista che fondo' la setta Shingon. C'e' la tomba, c'e' anche il corpo, ma - si dice - Kukai e' li' dentro vivo, e la gente, infatti, gli porta da mangiare tutti i giorni. Cosi', quando su questo mondo arrivera' Miroku, il Buddah del futuro, Kukai sara' perfettamente in forma per interpretare i celesti messaggi che portera' per l'umanita'.
Il grande cimitero e' incantevole, affascinante, misterioso. Noi lo attraversiamo sotto una nevicata fittissima e freddissima, che aggiunge fascino al fascino. La neve si deposita sopra le tombe e sui rami di enormi e vecchi alberi. Quando torniamo al monastero e' pronta la cena. Un'esperienza, perche' i monaci di Koyo-San sono famosi per come meditano ma anche per come cucinano.

GIOVANNI, L'UOMO METRO

27 dicembre: I TRE PIANI DI OSAKA

Lasciamo molto a malincuore l`inquietante Capsule Inn Hotel. Non prima di aver rubato 15 spazzolini sprigionanti dentifricio. Osaka, per quel poco che abbiamo visto, ci ha affascinato. Non che sia bella. Ma ci ha affascinato. Non che sia bella. Ma non passa inosservata. E` forse quello che saranno le citta' del futuro. Un grande divertimentificio, un grande luogo di consumi, pieno di pachinko, di supermercati, di enormi centri commerciali, di luci, di gente che - irasaimase' - ti invita ad entrare per acquistare qualsiasi cosa, da una friggitrice di polpette di polpi (come avete fatto a vivere finora senza?) ad un enorme lampione rosso che potete portarvi a casa con 200 o 300 euri. La citta', in alcuni quartieri, sembra essere disposta su tre piani. In alto le sopraelevate, i ponti, per il traffico delle auto e dei treni. A meta' il piano stradale per macchine, ma poche perche' le isole pedonali sono molte, il consumismo ha dettato le sue regole all'urbanistica. Sotto terra un dedalo di strade e di gallerie e di negozi e di ristoranti (ma quanto mangiano questi giapponesi?) dove gli abitanti di Osaka possono percorrere anche chilometri districandosi fra bivi, rotonde e scale mobili. Ovviamente sottoterra, corrono anche i vagoni della metro. Ma al piano di sotto.

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI

CLAUDIO INCAPSULATO

26 dicembre: NELLA NOTTE DI OSAKA

Andiamo al ponte di Ebisubashi, punto cruciale della Osaka notturna. Qui si da` appuntamento tutta la gioventu` trendy e alternativa di Osaka, quelli che si stirano i capelli e cercano di farli diventare biondi, ma gli diventano di un coloraccio rosso rugginoso, tutto meno che biondo, sotto megaschermi che piu` mega non si puo`, inondati da tonnellate di luci di ogni tipo che rendono l`atmosfera assolutamente surreale. La guida dice: "Sembra Blade Runner". Sinceramente una cosa mai vista. Strana umanita`, ragazzi che sembrano usciti da un manga, suonatori, mille locali per mangiare, musica a palla da ogni buco, rumore, gente che va e gente che viene, gruppi di ragazzine a meta' strada tra lolite giapponesi e eroine dei cartoni animati si fotografano facendo le smorfie e facendo con le dita il segno di "vittoria". Il perche' di questa abitudine non l'abbiamo ancora capito, ma naturalmente nella mia cialtroneria non posso trattenermi dal farmi fotografare anch'io. Insomma un casino. Torniamo alla nostra capsula. Stessa trafila, scarpe, chiave, altra chiave, box, spogliarsi, telecamera, yukata. Nei locali comuni ci guardano due poltrone per massaggi automatici e trappolette per rigenerare i piedi stanchi. Resisto alla poltrona ma mi lascio tentare dal rigeneratore di piedi. Poi nei bagni per lavarsi i denti con gli spazzolini con dentifricio incorporato nelle spatole. Ci infiliamo nel loculo. Dormiamo. Il tutto ci costera` 3300 yen a testa. 28 euro. Spa compresa.

26 dicembre: DORMIAMO NELLA CAPSULA

L`avventura della videocamera cambia i nostri programmi, ammesso che i nostri possano essere definiti programmi. Volevamo andare a Koyo-san, un paese di montagna dove era previsto l`alloggio in un convento buddista. Roba raffinata e trendy di cui Giovanni avrebbe potuto parlare a Milano per giorni ed io un po` meno a lungo a Lavarone. Ma tornare indietro a Kokura per recuperare la Sony SR12 appena comprata ci ha fatto perdere tre ore e saremmo rimasti fuori dal santuario. Ci diciamo: perche` non fermarci ad Osaka? Detto fatto. Ci fermiamo ad Osaka. Apriamo la guida e scopriamo che ad Osaka esiste un Capsule Inn Hotel. Sapete uno di quegli alberghi fatti di loculi che tanto fanno ridere in Italia? Ci vanno quelli che fanno tardi la sera, quelli che hanno bevuto e non vogliono rischiare il ritiro della patente, quelli che la mattina dopo hanno un appuntamento molto presto. Solo uomini, le donne non sono ammesse. Le capsule sono spaziose, non assomigliano a loculi cimiteriali. Sono larghe un metro e mezzo, alte un po` piu` di un metro e lunghe due. Ce ne sono circa duecento, una accanto all`altra e su due file sovrapposte, come le cuccette. Si dorme su un futon, c`e` l`aria condizionata, la televisione e la radio. Naturalmente e` previsto un canale porno. Non c`e` porta ma una tapparella di simil bambu`. Io e Giovanni rimaniamo incantati. E` forse l`esperienza piu` forte che facciamo da quando siamo arrivati in Giappone. Entriamo e intanto sbagliamo ingresso, ci infiliamo in un centro benessere. Capiscono subito che siamo degli imbranati e ci direzionano verso un ascensore. Arriviamo alla reception, lasciamo le scarpe in un boxino, ritiriamo la chiave, la consegniamo all`impiegato che ci da` un`altra chiave che dobbiamo legarci al polso con apposito braccialetto con impresso un codice a barre. Serve se ci perdiamo. Paghiamo in anticipo, come in tutti gli alberghi giapponesi. Con la nuova chiave apriamo un`altro box dove depositiamo il bagaglio e i vestiti. Indossiamo una yukata spogliandoci proprio li` sotto l`occhio vigile di una telecamera. Teoricamente saremmo pronti per infilarci nel loculo. Ma vogliamo strafare. Sempre con la nostra bella yukata addosso scendiamo due piani e entriamo nel centro benessere. Facciamo la sauna a 80 gradi, il bagno di vapore, la vasca gelata, la vasca calda, l`idromassaggio, di nuovo la sauna ma a 90 gradi, di nuovo la vasca gelata e infine ci rilassiamo nella vasca tiepida. Potremmo concederci anche qualche massaggio, magari tailandese, oppure farci insaponare lavare e sciacquare da una delle ragazze del centro. Ma c`e` un limite a tutto. Torniamo al piano dei loculi, riprendiamo i nostri vestiti dal box, ci rivestiamo sempre inquadrati dalla telecamera e usciamo nella notte di Osaka.

26 dicembre: IL POLPO

Sulla guida del National Geographic e' decantata una caratteristica fondamentale dei giapponesi, l'onesta'. E' mitica. Tu puoi lasciare un portafogli pieno di soldi su un tavolino e tornare il giorno dopo. Lo troverai li' che ti aspetta fiducioso. Adesso vi racconto l'avventura di oggi. Protagonista Giovanni, il quale a Tokyo, il giorno del nostro arrivo, ha comprato una splendida videocamera Sony SR12, con la quale ha ripreso i fatti salienti di questo viaggio, e realizzato anche molti clip di archivio per il suo lavoro. E adesso vi descrivo anche come stiamo viaggiando. Io ho una valigia, Giovanni anche. Io ho anche uno zainetto e uno scatolone, tutto contornato di nastro adesivo e tenuto insieme con spaghi che fanno tanto Napoli. Giovanni ha un borsello per soldi e documenti e la borsa nera della videocamera. La borsa nera della videocamera, pero', ce l'aveva a Kokura, e non ce l'aveva piu' sul treno per Osaka. Deve essere rimasta da qualche parte a Kokura. E il treno, il fantastico Shinkansen, si allonatana a 285 km/h da lei. Panico. Capotreno. Telefonate frenetiche. Niente da fare. Disperazione. La videocamera e' sparita o e' stata rubata con tutte le sue fantastiche clip. Il capotreno e' perentorio. "Nessuna videocamera esiste nella stazione di Kokura". Allora prendiamo una decisione coraggiosa. Alla prima fermata si torna indietro. La depressione si abbatte sulla coppia. Giovanni e' indeciso se sbattere la testa contro lo Shinkansen o buttarsi direttamente giu' nel momento di massima velocita'. Poi ha un flash. Il polpo. "L'ho lasciata vicino al polpo, nel banchetto dove abbiamo comprato il Bento", la scatola contenente riso e granchio che sarebbe stato il nostro pasto in treno. C'era un tavolino basso con un polpo di plastica al centro. Cosa si fa quando si trova un polpo di plastica su un tavolino? Il novanta per cento delle persone ci mette accanto la videocamera, naturalmente, e la lascia li'. Le videocamere, soprattutto le Sony SR 12, adorano essere abbandonate vicino a un polpo di plastica. Ci scateniamo in nuove telefonate. Niente. La videocamera e' veramente scomparsa. O e' scappata con il polpo, oppure si e' unita a qualche ladruncolo. Malediciamo la guida. Secondo la guida la videocamera doveva rimanere, almeno per un giorno, al suo posto, perche' nessun giapponese avrebbe avuto l'idea di rubarla. Il treno che ci riporta indietro e' pieno di questi ragionamenti, e quando arriviamo alla stazione di Kokura siamo tutti agitati. Andiamo di corsa dalla signora proprietaria del banchetto, dei Bento e del polpo. Giovanni vede il polpo e ha come un'illuminazione. "Era qui, ma il polpo e' stato spostato. Chi l'ha spostato?" si chiede immedesimandosi nel commissario Montalbano. Ma la signora del polpo vede Giovanni e gli fa un sorrisone. E' fatta. La videocamera esiste ancora e lotta insieme a noi. La signora continua a sorridere e a parlare. Dice cose che non comprendiamo, ma capiamo che la videocamera non e' scappata. Giovanni le parla in italiano. "Dov'e' la videocamera?". La signora indica il polpo. Sul polpo siamo tranquilli anche noi, ma la Sony? La signora indica un ufficio di fronte. Di corsa all'ufficio di fronte. La videocamera, il polpo, la custodia nera! Il signore dell'ufficio di fronte non capisce una mazza, naturalmente, ma poi si commuove e ci indica di seguirlo. Una passeggiata di dieci minuti nei meandri della stazione. Finiamo in uno sgabuzzino con su scritto "Lost and Found". E qui vorrei fare una digressione. Vorrei esaminare da un punto di vista semantico la differenza tra le abitudini di origine anglosassone, e quelle latine, per quanto riguarda il problema degli oggetti persi. Statemi a sentire. Qua la differenza e' tra gli ottimisti e gli efficientisti da una parte e i pessimisti e rinunciatari dall'altra. Tu perdi una cosa e vai all'ufficio Lost and Found. Persa e ritrovata. Ottimismo. Efficientismo. Hai perso un oggetto e, ovviamente, l'hai ritrovato. In Italia no. Non vai all'ufficio Lost and Found, vai all'ufficio Oggetti Smarriti. Smarriti e basta. Non ritrovati. E infatti non lo ritrovi. Dovrebbero chiamarlo "Smarriti e Ritrovati", altrimenti che vai a fare all'ufficio oggetti smarriti? A piangere? Noi, all'ufficio Lost and Found di Kokura, prefettura di Fukuoke, Giappone, la vediamo. La Sony SR 12 e' li', sullo scaffale che ci guarda da sotto un impermeabile e in mezzo a una dozzina di ombrelli. Giovanni sorride e la guarda, ricambiato, con amore. L'impiegato gli sottopone una serie di moduli da firmare. In giapponese. Chissa' che cosa c'e' scritto. Ma Giovanni oggi firmerebbe tutto. Riabbraccia la videocamera e se la lega addosso. Sembra un secolo ma sono passate solo due ore da quando era disperato. E la guida che abbiamo maledetto? Aveva ragione, ma anche torto. La Sony SR 12 e' rimasta sul tavolino ad aspettarci solo un'ora. Non le piaceva il polpo.