giovedì 18 dicembre 2008

OTTAVO GIORNO, LA FACILE VITA DEL GIARDINIERE ZEN

Ce ne sono molti di giardini zen da queste parti. Si chiamano anche giardini secchi. Nel senso che non e' prevista l'acqua, non sono previsti fiori, non sono previsti alberi, e non mi venite a parlare di erba. I giardini zen sono fatti di rocce, poche, e di ghiaia, tantissima. Attorno alle rocce, al massimo, un piccolo tratto di muschio. Attorno al giardino un muro, fatto di mattoni cotti nell'olio, praticamente un tempura di mattoni. Guai a camminare nel giardino. Il giardino zen e' per gli occhi e per la mente. Ti siedi e lo guardi. Il giardino zen aiuta la meditazione e la coscienza di se stessi.
Chissenefrega del pollice verde. Oggi ne vediamo uno, forse il piu' famoso. Il giardino del tempio di Ryoan-ji, nella zona nord-ovest di Kyoto. Nel tempio e' tutto zen, il laghetto, le anatre, le carpe, il muschio sotto gli aceri, le ragazze che puliscono con la scopetta il muschio sotto gli aceri, liberandolo dalle fogliette. Gli unici che non sono zen sono i turisti. Io per esempio mi tolgo sempre le scarpe nel posto sbagliato e vengo sgridato in continuazione. Ieri e' cominciato il nostro giro dei templi, ma siccome siamo inesperti l'abbiamo cominciato tardi, quando i templi cominciavano a chiudere. Il tempo l'abbiamo perso a giracchiare nella zona "in" di Kyoto che si chiama Gion ed ha un paio di stradine "pittoresche", con ristoranti e bar eleganti dove ci siede per praticare lo sport preferito dei turisti, l'avvistamento della geisha. Le geishe sono come i panda, in via di estinzione. Noi le geishe non le abbiamo viste, anzi ne abbiam viste due ma su un riscio' hi tech e in una zona diversa. Insomma, oggi facciamo colazione alla stazione prima di partire per i templi. Cominciamo con quello di Kiyomizu. Imponente, si regge su possenti colonne tonde di legno, a sbalzo sulla collina. E' molto bello ma il turismo e i preti lo hanno trasformato in una specie di parco dell'amore. Fuori dal tempio, ma sempre nella sua area, e' tutto un brulicare di giochetti, fogliettini, statue, previsioni. Trecento yen e ti togli il pensiero. Se parti da una grossa pietra e arrivi a un'altra distante diciotto metri ad occhi chiusi, la tua lei sara' tua. Tutto sotto gli occhi di Ocuminushin-Mikono, il dio, col pizzetto, dell'amore con al seguito il suo fedele servitore, neanche a dirlo, il coniglio. Passiamo al secondo tempio. E' quello del campanone. Un'enorme campana di bronzo viene fatta suonare da un batacchio a forma di trave messo in movimento da 17 monaci. A noi sembra esagerato, probabilmente io e Giovanni ce la faremo da soli, ma sapete come sono i monaci. Bravi a pregare, a meditare, ma all'atto pratico... Certo che i preti sono un po' uguali dovunque, belle chiese, belle moschee, bei santuari, sempre nelle zone piu' belle della citta'. Tanta gente che li mantiene, lavorare poco. Non so com'e', ma dovunque vada, la mia propensione a considerarli socialmente inutili e psicologicamente dannosi e' sempre uguale, a qualsiasi religione appartengano. Tra il primo e il secondo tempio c'e' una strada, piena di negozietti ma anche di prodotti belli ed eleganti. Noi scopriamo Tetsupei Kawamura, un vecchietto xilografo che, a mano, davanti a noi, stampa dei graziosissimi bigliettini colorati con frutta e fiori che rappresentano i vari mesi. Vorremmo ordinargliene mille per farne dei biglietti da visita ma Tetsupei dice di no, c'e' un limite al lavoro. Dopo il campanone ci spariamo il terzo tempio, quello zen di cui vi ho gia' detto. Poi, incredibile, andiamo alla stazione a mangiare una pizza. Ci sono momenti della vita in cui uno compie azioni imprevedibili. Ecco, questo e' uno di quelli. La pizza nei sotterranei della stazione. E' inutile che ridiate, anche voi avete fatto cazzate nella vostra vita. Noi abbiamo mangiato una pizza nei sotterranei della stazione di Kyoto, la citta' del Protocollo, e adesso siamo felici ed appagati, tanto che andiamo a farci un massaggio. Giovanni alle spalle, alla schiena e al sedere. Io, la mia solita riflessologia plantare. Oggi abbiamo preso una tessera per l'autobus e l'abbiamo sfruttata al massimo. Se a Tokyo eravamo sempre in metro, a Kyoto viviamo sugli autobus. Ormai sugli autobus sappiamo tutto. Sono autobus che parlano. Una voce femminile, registrata, incessante, dice la fermata in cui siamo e quella verso la quale siamo diretti. Poi dice anche altre cose, forse "state attenti a dove mettete i piedi", forse "lasciate il posto agli anziani", forse "non parlate al conducente". Poi una voce maschile dice una strana cosa tipo "aridarcamanei". Vorra' dire "buongiorno"? Vorra' dire "benvenuti sull'autobus"? Dice solo questo. Anzi no. Ogni tanto ringrazia. Arigato. Come sull'Alitalia. "Vi ringraziamo di aver preso questo simpatico autobus delle linee urbane di Kyoto, arrivederci sulla 207".

Infine c'e' la voce dell'autista, il quale non parla, bofonchia. Ognuno ha il suo stile. Abbiamo trovato quello all'Alberto Lupo, con voce impostata, quello con voce cavernosa, tipo famiglia Adams, quello sonnacchioso, con voce sbadigliante, quello sussurrante e anche un po' sexi, quello allegrotto che scherzava con tutte le ragazzine che scendevano. Che cosa dice l'autista? Non lo so. C'e' dibattito tra me e Giovanni. Giovanni sostiene che dice cose utili, tipo "sbrigatevi a scendere e state attenti al marciapiede", oppure anche "non date retta all'altra voce registrata che quella non sta mica qui, quella se ne sta comoda comoda in ufficio!". Io invece sono convinto che dica cosa personali, quelle che gli vengono in mente in una specie di autocoscienza da traffico. "Voi non sapete quante me ne fa mia moglie", oppure "mio figlio si droga e suona tutto il giorno i bonghi". L'autista e le due voci registrate si sovrappongono, si coprono, si interrompono come fossero a Ballaro' o a Porta a Porta. E cosi' in autobus non ti puoi mai rilassare, c'e' sempre qualcuno che dice qualcosa. Pero' non a tutti da' fastidio. Gli abitanti di Kyoto non soffrono certo di solitudine. Quando qualcuno ha una crisi di tristezza, esce, prende l'autobus, e si fa quattro chiacchiere con le voci.

2 commenti:

Unknown ha detto...

CSF: ma non vendevano miniature di giardini zen? quelli con il vassoio, la sabbiolina, qualche pietruzza, e una specie di mini rastrello per assestare la sabbiolina mentre mediti sulla scrivania (una volta tornato a casa)? Più leggo le vostre avventure e più mi rendo conto di quanto i Giapponesi ci tengono alle tradizioni, ovunque essi siano. Qui a S. Paulo loro occupano un quartiere che sembra un pezzetto di Giappone. Che popolo affascinante.

Isabella Guarini ha detto...

Avrà pure un significato il fatto Massimo D'Alema ha regalato ai suoi compagni di Napoli una miniatura di Giardino Zen.